IDENTIFICAZIONE E CRESCITA PERSONALE

Antonio Origgi

Le 3 Menti inconsce

Io l’ho fatto e ti spiego anche perché  e cosa è successo in classe.

Ma andiamo per ordine. L’argomento di questo articolo è l’identificazione, la causa per cui per tante persone è così difficile cambiare.

Troppo spesso ci identifichiamo col nostro corpo o con le altre coscienze inferiori: il Sé istintivo e il Sé mentale. Ad esempio:
Se la testa fa male, diciamo “(io) ho mal di testa”
Se proviamo tristezza diciamo “(io) sono triste”
Se i pensieri ci attanagliano diciamo “(io) continuo a pensare a …”
L’”io” spesso è sottinteso, ma dicendo “ho mal di testa” intendiamo dire “io ho mal di testa”. Troppo spesso parliamo (ma anche pensiamo) senza renderci conto di ciò che diciamo (o pensiamo), anzi, senza renderci conto del peso delle nostre parole (e dei pensieri) e dell’influenza che essi hanno sulla nostra vita. Dire “ho mal di testa significa identificarsi completamente con il corpo. Io sono il corpo, quindi io ho mal di testa.

La stessa cosa accade con le emozioni. Diciamo “sono arrabbiato”, cioè “io sono arrabbiato”, eppure, magari, una parte di noi dice “non voglio essere arrabbiato”. Notate il paradosso? Se “io” sono arrabbiato, come è possibile che contemporaneamente “io” non voglia essere arrabbiato?  Vi rendete conto dell’incongruità di tali affermazioni? Notate che ci sono due “io” diversi che vogliono cose diverse? Come ho ben descritto ne “Le 3 menti Inconsce – la chiave per guarire la tua vita”, chi è arrabbiato è il Sé istintivo, quella coscienza del mammifero umano che vive di emozioni. Lui è arrabbiato, non il vero “Io”.

La stessa cosa accade con i pensieri. Diciamo “continuo pensare a ….” e contemporaneamente magari diciamo che non vorremmo pensarci. Ancora due “io” che vogliono cose diverse. Colui che pensa senza che ce ne rendiamo conto è il Sé mentale, la coscienza del mammifero umano che si è molto più sviluppata rispetto a quella degli altri mammiferi, mentre il nostro verso Io, l’Io osservatore che può osservare il mal di testa, la rabbia e i pensieri ricorrenti, vorrebbe avere una mente silenziosa.

Dicendo “ho mal di testa”, “sono arrabbiato”, o “continuo pensare a ….” mi sto completamente identificando col Sé fisico (il corpo), col Sé istintivo e col Sé mentale. In pratica affermo di essere loro, anziché essere un’anima incarnata, una coscienza superiore in grado di osservarli.

Perché abbiamo fatto tutto questo discorso sull’identificazione? Per un semplice motivo, perché spesso capita di voler cambiare qualcosa di noi, magari guarire da un malanno fisico, oppure cambiare le nostre emozioni o i pensieri, o anche per una nostra crescita personale e non ci riusciamo. Ora il ragionamento che possiamo fare insieme è molto semplice e logico. Chi ha mal di testa è il Sé fisico, chi è arrabbiato è il Sé istintivo e chi continua a pensare è il Sé mentale. Se Io voglio un corpo sano, o provare gioia, o avere una mente quieta, in pratica è come se dicessi che voglio che il Sé fisico guarisca, che il Sé istintivo diventi gioioso e che il Sé mentale plachi il suo pensare. Ma come potrebbero farlo da soli se nessuno li aiuta a cambiare?

E qua torniamo all’esempio della scuola. Supponiamo che voi siate un insegnante e che abbiate il compito di insegnare a scrivere ad una classe di tre bambini. Se non vi considerate insegnante, se non vi fate vedere da loro come maestro, pensate che si metterebbero a studiare e a sperimentare per imparare da soli a scrivere? Certo che no, continuerebbero a giocare, a litigare e a fare quello che hanno sempre fatto. In pratica da soli non cambieranno mai.

Lo stesso vale per i vostri tre allievi veri: il Sé fisico, il Sé istintivo e il Sé mentale. Se non vi riconoscete come loro maestro, chi mai li farà cambiare? Da soli non lo faranno mai, continueranno ad ammalarsi, ad arrabbiarsi o a essere tristi e insicuri e a pensare e ripensare alle vostre disgrazie.

Questo è il problema dell’identificazione. Il primo passo per qualsiasi cambiamento è la disidentificazione dal mammifero umano che abbiamo scelto di incarnare e la presa di coscienza che sta solo a noi diventare maestri delle coscienze inferiori per aiutarle a cambiare,

Ora vi racconto di quando ho dormito sulla cattedra per due ore. Prima di studiare psicologia, presi un diploma di laurea in statistica e mentre ancora studiavo, per tre anni  ebbi un incarico di insegnante di statistica presso un istituto tecnico informatico di Monza. Furono tre anni bellissimi e stabilii con gli studenti un rapporto di stima e amicizia reciproci.

Verso la fine del secondo anno di insegnamento ebbi un week end particolarmente intenso. Non vi sto a raccontare cosa feci, fatto sta che praticamente non dormii per due notti. Il lunedì mattina avevo delle lezioni importanti, tra cui un compito in classe. Ero letteralmente a pezzi ed ero tentato di starmene a casa, ma poi la responsabilità verso chi aveva studiato per il compito in classe ebbe il sopravvento e andai a scuola. Le prime due ore erano in una quinta e non avevo cose particolarmente urgenti da insegnare. Mi resi conto che non avevo la lucidità sufficiente per svolgere al meglio il mio lavoro per l’intera giornata, così mi rivolsi a quei ragazzi che avevano non più di due o tre anni meno di me. Spiegai loro la situazione e dissi che per poter affrontare al meglio le lezioni successive avrei dovuto riposare e chiesi loro di rimanere in silenzio e di fare ciò che ritenevano giusto fare. Appoggiai la testa sulla cattedra e mi addormentai. Mi svegliai che erano quasi passate le due ore e avendo recuperato le forze. Riuscii così a svolgere il mio lavoro e portare a termine la giornata nel migliore dei modi.

Quei ragazzi di quinta, che poi mi chiesero di fare il membro interno agli esami di maturità e che furono una delle uniche due classi in tutta Italia a svolgere correttamente l’esame scritto di statistica alla maturità, erano rimasti per due ore in religioso silenzio permettendomi di riposare.

Ora immaginate che quei ragazzi non avessero il rispetto e la stima che avevano per me, pensate forse che se ne sarebbero stati quieti in classe per due ore? Certo che no, chi è insegnante può capirlo. Avrebbero fatto un casino infernale mettendo la classe sottosopra e alla fine dell’anno non avrebbero imparato nulla della statistica.

Quei ragazzi mi avevano conosciuto, avevano capito che potevano fidarsi di me, che ero severo quando era il momento, ma anche comprensivo e che li stavo aiutando a crescere come uomini prima che come informatici, per questo mi hanno permesso di riposare.

Disidentificarsi dalle coscienze inferiori e diventare loro maestro è l’obiettivo dei corsi IWAY, la via per l’integrazione personale. IWAY significa proprio questo. È come un’università in cui si impara a diventare maestri di noi stessi, a risvegliare la coscienza dell’Io, a conoscere il Sé fisico, il Sé istintivo e il Sé mentale, a comunicare con loro per ottenere la loro stima e il loro rispetto e, infine, a insegnare loro a diventare la miglior versione di ciò che sono. Questo è IWAY, questa è integrazione di tutte le coscienze dell’essere umano per una vera crescita personale

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