Sulla critica al buonismo

Antonio OriggiA volte mi capita di leggere commenti sarcastici, in alcuni casi decisamente duri o volgari contro il cosiddetto buonismo. Ne ho letti anche in articoli pubblicati su quotidiani, per non parlare dei commenti di alcuni opinionisti che appaiono spesso in tv.

Come mai tanta acredine contro certi atteggiamenti? Da dove viene e che scopo ha una critica così dura e, a volte, tagliente?

Il primo passo a mio parere è quello di distinguere nella massa di coloro che criticano i “buonisti” tra i critici di professione e coloro che esprimono una critica sentita. Tra i primi possiamo annoverare sicuramente molti politici che cavalcano le emozioni delle persone e sanno perfettamente che alimentare certe emozioni, soprattutto la rabbia, aiuta a portare molti voti. Probabilmente tra questi politici ci sono anche quelli che la rabbia la sentono, ma ci sono anche i “furbetti” che se la costruiscono appositamente per entrare in risonanza con la rabbia repressa di tante persone e veicolarla verso ciò che fa loro comodo.

Ma veniamo invece al gruppo che mi interessa di più, a coloro che criticano i buonisti in modo “sentito”.

Una premessa fondamentale che vorrei fare è che non mi sto riferendo ad un aspetto particolare del buonismo, né al buonismo sociale, né al buonismo culturale, né al buonismo alimentare, e neppure al buonismo filosofico e religioso. Ciò che mi preme è analizzare l’aspetto della critica verso il buonismo in generale, anche se forse, per evitare infinite discussioni sul buonismo che riguarda l’ondata di immigrazione, eviterei di considerare questo tema. L’immigrazione dai paesi poveri e in guerra è un tema troppo delicato e richiederebbe analisi serie, basate sul buon senso, sulla razionalità, su studi e sui fatti, piuttosto che sulle emozioni che provengono dalla pancia. Per questo motivo nella riflessione che stiamo facendo lasciamo fuori questo tema, anche se poi, alla base della critica verso il buonismo legato all’immigrazione ci sono gli stessi elementi delle altre forme di critica al buonismo.

La premessa della nostra analisi è che ciascuno, finchè non viola alcuna legge e non fa del male agli altri, è libero di pensare, parlare e agire come meglio crede. Allora, se ciascuno è libero di pensarla come meglio crede, perché criticare così aspramente quelli che chiamiamo buonisti? Anzi, perché è stato coniato questo termine che ha insito un aspetto dispregiativo? La spiegazione è che la maggior parte delle persone, più o meno consciamente ha una forte rabbia repressa e quando una persona arrabbiata sente o legge parole sdolcinate su qualcosa che non vive, facilmente sente montare ancora di più la sua rabbia.

E’ normale, è una reazione istintiva (del Sé istintivo). Gregg Braden direbbe che è una questione di specchi, cioè la persona buonista mostra a colui che critica, la sua ferita, gli fa vedere il buono che la persona arrabbiata non riesce a vivere (perché magari ha sperimentato da bambino che a essere buoni non ci si guadagna niente) e così la rabbia emerge come critica verso chi invece esprime liberamente parole e gesti “sdolcinati”

Questo capita a chi è consapevole della rabbia che ha dentro, più o meno repressa, ma c’è chi non è consapevole e a volte sono proprio loro che si comportano da “buoni” per mascherare ancora di più quella rabbia che negano e non vogliono ammettere di avere.

La rabbia è naturale per tutti i mammiferi. Quando un bambino ha sofferto nell’infanzia per mancanza di amore, per le ingiustizie subite, per la mancanza di gratificazioni, e così via, è normale che dopo il dolore, la delusione, la speranza, emerga la rabbia.

La rabbia è del Sé istintivo. Quando eravamo bambini non c’era ancora il Sé mentale capace di comprendere le esperienze, e la coscienza dell’Io era ancora troppo debole. Così il Sé istintivo ha vissuto le esperienze come le vivrebbe un qualsiasi altro animale, basandole solo sulle emozioni provate e traendone convinzioni e comportamenti reattivi tipici di qualsiasi altro animale ferito.

Ora, posto che la rabbia è presente in misura più o meno grande e in modo più o meno consapevole in ciascuno di noi, scaricarla sempre contro chi non ha colpa non serve a guarirla, ma la si alimenta.

Se vogliamo stare bene, se vogliamo ridurre le possibilità di ammalarci, se vogliamo vivere rapporti sani e maturi, dovremmo educare il Sé istintivo sciogliendo e guarendo le ferite e la rabbia che ha dentro. Scaricare la nostra rabbia verso chi guida troppo lentamente o troppo velocemente, verso l’impiegato dell’ente statale che non è disponibile come vorremmo, verso chi è lento a pagare alla cassa del supermercato e così via, non placa la rabbia repressa, ma la alimenta. È esattamente come aizzare un cane già rabbioso di suo.

Se la rabbia emerge istintivamente, come avviene nella maggior parte dei casi, è giusto accoglierla, ma non è giusto alimentarla. Se vogliamo una crescita personale, ciò che dovremmo fare è accogliere il Sé istintivo, farlo sentire compreso, ma fargli capire che non è l’autista, o l’impiegato la causa della sua rabbia più importante. Dovremmo accoglierlo e dirgli che ci prenderemo cura di lui, che lo aiuteremo a stare bene, perché ce lo meritiamo, ma dovremmo anche insegnargli ad accettare gli altri per quello che sono, così come vorremmo che noi fossimo accettati per quello che siamo.

Se desideriamo davvero il nostro benessere, se vogliamo davvero una crescita personale, dovremmo prenderci cura delle nostre ferite e della nostra rabbia, ma dovremmo anche educare il Sé istintivo ad essere gentile, a non giudicare istintivamente, a usare termini non volgari, ad essere educato, a comprendere gli altri. Questo non è buonismo, questi sono semplicemente gli elementi basilari della formazione di qualsiasi essere sociale che desidera essere felice e vivere rapporti emotivamente maturi.

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